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ATTACCO DI PANICO

Mariacandida Mazzilli

(Riferimenti al convegno LIDAP 9 giugno 2005)  

L’attacco di panico è un momento di ansia acuta, un periodo circoscritto, dall’insorgenza improvvisa, di intensa paura e terrore, spesso associato ad un senso di catastrofe imminente e pericolo mortale. L’ansia panica è una esperienza di dolore, è un terrore senza nome descritto come irragionevole e immotivato che si focalizza sul corpo e lascia spaesati, disorientati, senza la possibilità di comprendere di cosa si ha paura e da dove proviene quella sensazione di forte sgomento. Improvvisamente tutto ciò che prima era vissuto come familiare diviene alterato, estraneo, è possibile perdere la sensibilità di alcune parti del corpo, avvertire stanchezza e pesantezza. Ci si sente diversi, si è convinti di stare per morire, le “strane” sensazioni vengono interpretate come segnali di follia. La funzione cognitiva può essere momentaneamente compromessa. Nell’attacco di panico, l’angoscia non può legarsi ad un oggetto, il pericolo non proviene dall’esterno ma dall’interno quindi intensa diviene la sensazione di non governabilità delle proprie emozioni. Il soggetto vive la sensazione di non riuscire a controllarsi ma, nello stesso tempo, tenta disperatamente di riuscirci, è una lotta estenuante tra una parte di sé che dovrebbe essere “tanto forte da” e l’altra che si arrende a tanto sconvolgimento."Nell’ attacco di panico è tutto finto, è come un film dell’orrore; sappiamo di guardare dei filmati, delle immagini, ma abbiamo paura ugualmente” sostiene il dott. Silvano Dedalo, neuropsichiatra della LIDAP, “La paura di impazzire, la paura di perdere il controllo, restano tali: nessuno è mai impazzito, nessuno ha mai perso il controllo ma rimane la paura di aver paura”, continua il neuropsichiatra.Infatti di panico non si muore ma ci si sente morire, non si diventa pazzi, ma, ricercando la sicurezza, si assumono  comportamenti che possono apparire folli. Le emozioni sono temute, si ha la necessità di soffocarle, negarle e di distanziare i desideri, i conflitti. Per alcuni vivere l’aggressività sembra impossibile. Le persone con attacchi di panico hanno la predisposizione a vivere all’interno di un conformismo sociale, assai difficoltosa è la ricerca e lo sviluppo della propria creatività. Frequenti sono i bisogni simbiotici, la preoccupazione per la disapprovazione degli altri. Coloro che soffrono di panico possono presentare tratti di controllo ossessivo ed evitamento fobico. Queste persone mostrano  una “precaria fiducia di base”. Forse il modo di essere di questi pazienti pone le fondamenta su un falso sé, si erige su una identità illusoria. Un legame tra angosce di separazione e attacco di panico sembra inevitabile.

La dott.ssa Olivia Pelle, psicoterapeuta LIDAP, chiarisce: ”Angoscia e processi di separazione sembrano essere precursori del Disturbo da Attacchi di panico. Il termine “angoscia” è il modo più preciso di definire l’ansia in psicanalisi. L’angoscia ha origine dal mondo psichico dell’individuo ed è centrale il problema della sua origine, della sua natura e della sua funzione; strettamente legato ad essa è il processo di separazione dalle figure di riferimento. In questa prospettiva si propone la psicoterapia.”

In "Inibizione, sintomo e angoscia" (1926) Freud spiega come, alle spalle dell’ angoscia, si nasconda un conflitto inconscio e che la risoluzione dei sintomi è possibile solo lavorando sul conflitto e sui meccanismi di difesa che agiscono intorno ad esso. I sintomi psichici derivano, secondo quanto ipotizzato dalla teoria psicoanalitica, da quei vissuti interiori che sono totalmente o in parte inconsci. I pazienti con crisi di panico, hanno sentimenti aggressivi di cui generalmente non sono consapevoli. Sentimenti di forte rabbia soffocati, fantasie inconsce possono introdurre gli attacchi di panico. Il paziente vive un desiderio intollerabile e contemporaneamente la difesa verso questo desiderio. Si individua un”compromesso” tra i sentimenti di rabbia e la fantasia di abbandono. Il disagio più grande nasce proprio quando il conflitto tra il bisogno di protezione e il naturale desiderio di conoscenze ed autonomia diviene insostenibile. L’attacco di panico interrompe questa caotica battaglia interiore. L’età adolescenziale, periodo di transizione tra infanzia ed età e adulta, caratterizzata proprio dall’ambivalenza tra bisogno di appartenenza  e spinta verso se stessi, può essere terreno fertile per gli attacchi di panico.

La dott.ssa Rosa Mininno, psicoterapeuta LIDAP, focalizza l’attenzione sul primo attacco di panico che “spesso avviene nell’ambito scolastico e rischia di compromettere seriamente il rendimento negli studi e l’autostima” dice la dottoressa “è allora importante  impedire la cronicizzazione del disturbo per favorire lo sviluppo di un sano processo di crescita”.

L’ansia esplosiva spesso è in concomitanza con un periodo della vita del paziente in cui è in atto un “cambiamento” sia come evento esterno che come vissuto interno, fantasmatico. Una esperienza di frustrazione, di cambiamento, può mettere in discussione l’immagine idealizzata di sé, improvvisamente la persona non riesce a separarsi da ciò che è noto e certo. L’Io scorge aspetti di sé fino a quel momento sconosciuti e un senso di precarietà travolge prepotentemente sia il corpo che la mente. Il soggetto vive una realtà catastrofica dove le emozioni, che fino a quel momento non hanno raggiunto la pensabilità sufficiente, non vengono sopportate. La somatizzazione diviene allora indispensabile in quanto  contenimento mentale che permette al soggetto di prendere le distanze dalle emozioni. In questo modo l’identità riconquista il controllo. L’ aiuto viene ricercato immediatamente, si sente il bisogno di essere  rassicurati, di sapere che tutto è a posto, si inseguono tutti i modi possibili per negare il disagio ed eliminare rapidamente il sintomo.L’ansia forte è considerata estranea ai vissuti interiori, non sembra avere alcun senso parlare delle proprie emozioni.

Secondo il dott. Giuseppe Ciardiello,  psicoterapeuta LIDAP, “La capacità di controllo delle funzioni del nostro corpo testimonia della crescita e dell’autonomia che diventano valori importanti per noi e per le persone che ci circondano. Quando siamo stanchi e stressati, se scopriamo  l’incapacità e/o impossibilità ad abbandonarci  viviamo questo cedere colorato dal fantasma della “disintegrazione” fisica e mentale. Forme e modi di terapia dovrebbero rivolgersi alla nostra “Mente”, che è l’insieme complessivo del corpo, del cervello e delle rappresentazioni da questo insieme prodotte. Importante è riconquistare la “centratura” fisica e psichica”  Continua il dott. Ciardiello:

”Il lavoro terapeutico deve passare anche attraverso il corpo; è inoltre necessario vivere una accoglienza che sappia fare ritrovare la fiducia nella propria capacità di ”tenersi insieme”.”.

L’ansia panica esprime una “fragilità dell’identità”, il paziente trova difficoltà a conservare una autenticità del proprio Sé. Per queste persone il cambiamento introduce un turbamento ed emerge una specifica difficoltà a vivere l’ esperienza di delusione. Il lavoro più delicato per il terapeuta è proprio il diventare un contenitore temporaneo, alimentare la fiducia di base, offrire la propria esperienza intima che affronta il cambiamento, favorire una elaborazione, costruire e ricostruire. E’ indispensabile “rimanere” e cercare un contatto emotivo, ”essere con”. E’ importante storicizzare la crisi sviluppando o recuperando la possibilità di narrare e di ricordare, favorire la mentalizzazione attraverso l’esperienza controllata del dolore e del terrore panico (anche con l’ausilio dei farmaci), trovare e alimentare il desiderio di dare un senso là dove non esiste o dove ci sia difficoltà a riconoscerlo e soprattutto trasformare la crisi in un conflitto pensabile e tollerabile per l’identità. Nel momento in cui il paziente comprenderà che dietro i suoi sintomi vi è un significato psicologico, si renderà conto che l’attacco di panico non è una forza avulsa che irrompe all’improvviso dall’esterno  e più facilmente si avvicinerà alle sue emozioni. Caratteristica interessante della LIDAP è l’approccio svincolato da rigide distinzioni di tipo “scolastico”: l’aiuto psicoterapeutico può utilizzare alternativamente impostazioni psicoanalitiche, cognitivo comportamentali, relazionali, corporee etc. di volta in volta ritenute idonee a ripristinare la fiducia del paziente, ripristinare ”l’essere centrati” (la centratura) ricongiungere la mente al corpo.

La dott.ssa Immacolata Lenoci, psicoterapeuta LIDAP, illustra l’importanza dell’approccio integrato (farmacoterapia e psicoterapia) nel disturbo del DAP: 

La combinazione tra psicoterapia e farmacoterapia è indispensabile per il disturbo da attacchi di panico. La gravità dei sintomi può pregiudicare l’efficacia della psicoterapia qualora il sintomo comprometta significativamente la qualità della vita delle persone. I farmaci hanno maggiore efficacia sul controllo dei sintomi mentre la psicoterapia, decodificando il sintomo, agevola le relazioni interpersonali…”

Lo strumento principale della LIDAP è costituito dai “gruppi di auto-mutuo-aiuto”. Si tratta di gruppi formati da persone che hanno in comune lo stesso problema e che, nel confronto orizzontale con gli altri, sperimentano momenti di condivisione, di solidarietà e di crescita. All’interno del gruppo non è prevista la presenza di un conduttore professionista, ma si preferisce un facilitatore: si tratta di un membro del gruppo , con un percorso di terapia significativo alle spalle, che in seguito ad una specifica formazione, ha la funzione di facilitare la comunicazione stessa del gruppo.

Pietro Adorni, presidente della LIDAP, durante l’intervista in una pausa del convegno, ci parla dei 14 anni di esperienza in questo settore e del modello di intervento del gruppo di auto-aiuto (self-help) nonché della collaborazione specialistica di psichiatri e psicoterapeuti. Il presidente definisce il gruppo di auto-aiuto “base necessaria per guardarsi dentro”. “Chi soffre d’ansia fatica a parlare delle proprie emozioni, cerca di frenarle; nei gruppi è importante la disponibilità ad ascoltare l’altro, il suo vissuto. Quando c’è coesione nel gruppo e si è creato un legame affettivo, si sente di poter esprimere le proprie emozioni, di poter mentalizzare e metabolizzare anche i sentimenti negativi. Tutto deve tornare al gruppo che è come una palestra in cui ci si rafforza. Uno dei vissuti  principali dei gruppi di auto-aiuto è quello della sospensione del giudizio e del pre-giudizio. Si ascolta e basta per produrre il sentimento di sentirsi liberi di esprimersi. Tutto questo facilita l’accettazione, dell’altro e di se stessi. Si va alla ricerca di una comunicazione più autentica, della propria creatività che dipende dall’auto-accettazione; infatti la persona che soffre d’ansia difficilmente vive un rapporto di libertà con il proprio corpo, si vede brutto, ha una bassa autostima, si percepisce come un essere inferiore. L’obiettivo principale è acquisire una consapevolezza maggiore e meno rigida di sé e dell’altro, tendere al benessere e alla risoluzione dei propri problemi. E’ importante chiedere aiuto e saperlo fare ed il suo presupposto è la fiducia che il gruppo alimenta”.

La LIDAP è un'associazione non-profit, fondata e gestita da persone colpite da questo disagio. Adorni ci illustra, con passione, i progetti futuri dell’associazione: “La LIDAP continuerà a portare avanti i gruppi di auto-mutuo-aiuto e si organizzeranno collaborazioni ad ampio respiro nell’ambito di giornate formative dirette ai nostri facilitatori di gruppo, agli associati LIDAP e anche ad altre persone che vogliono partecipare.”

Il convegno si è concluso con l’intervento di Gisella De Carlo, volontaria della LIDAP e facilitatrice di gruppi di auto-mutuo-aiuto. Si è trattato di una testimonianza toccante e significativa proveniente da chi ha saputo trasformare, proprio con la partecipazione a gruppi di auto aiuto, il suo personale disagio, in un’esperienza messa successivamente al servizio degli altri.

 

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